Nel 1516, cinquecento anni fa, veniva pubblicato per la prima volta “Utopia”, il romanzo di Thomas More.
Utopia è un’isola abitata da una società ideale, pacifica e armonica, dove la cultura viene praticata diffusamente ed ispira il governo della società.
Da allora e per cinquecento anni Utopia ha assunto il significato del futuro desiderabile, del luogo dove si possono realizzare i soci di tutte le società afflitte da conflitti ed ingiustizia.
E’, naturalmente, un sogno impossibile: la stessa parola utopia significa “luogo inesistente”, il non-luogo che abita i sogni, ma non la realtà. E l’inseguimento della società ideale è destinato a non concretizzarsi mai.
Un fortunato aforisma, attribuito ad Henry Desroche, recita: “Nessuna carovana ha mai raggiunto il suo miraggio, ma solo i miraggi hanno messo in moto le carovane”.
Eccone spiegato, in una frase, il mistero affascinante. Tutti sappiamo che l’utopia non esiste, ma tutti l’inseguiamo.
Per secoli si sono accumulate esperienze storiche e sistemi di idee, a tutte le scale, dalla più minuscola alla più grandiosa, che hanno messo in moto carovane guidate da un miraggio.
La nostra epoca sembra fare eccezione.
Le istituzioni politiche traguardano pochi mesi avanti, le imprese si concentrano sui risultati e la quotazione del trimestre, noi tutti ci proponiamo orizzonti temporali brevissimi.
E’ la società dell’eterno presente, del tempo immediato e puntiforme, dimentica del passato e disinteressata al futuro.
Non dovrebbe essere così. Un intero ciclo di sviluppo, fondato sull’esasperato sfruttamento delle risorse del pianeta, è giunto al capolinea.
I cambiamenti climatici fanno già sentire il loro morso con prolungate siccità che mettono in ginocchio interi paesi, con incendi spaventosi che consumano migliaia e migliaia di ettari di preziose foreste, inondazioni e uragani seminano devastazione.
Siamo appena all’inizio di una corsa che, se non verrà fermata, ci porterà ad un riscaldamento inarrestabile e dalle conseguenze minacciose per la stessa esistenza della civiltà umana per come l’abbiamo conosciuta.
Entro pochi decenni dovranno essere sfamate più di 9 miliardi di persone senza compromettere la qualità di suoli e risorse idriche.
I conflitti per le risorse si accentuano in ogni angolo di mondo, dissolvendo il sogno della pace universale coltivato all’indomani della fine della guerra.
Milioni di persone si stanno già muovendo, scacciate dalla guerra e dalla fame, e decine e decine si metteranno in viaggio se gli squilibri delle condizioni di vita non si attenueranno.
I due grandi sistemi di idee che ci hanno guidato dall’inizio della civiltà industriale, il liberalismo e il socialismo, sono agonizzanti, incapaci di indicare una via d’uscita.
Ce n’è abbastanza per cercare un nuovo miraggio, per alzare lo sguardo dalla quotidianità, e ricominciare a pensare a come può essere un futuro desiderabile.
Non siamo soli, perché abbiamo una grande bagaglio che può accompagnarci, la cultura.
Possiamo rivolgere uno sguardo indietro, riflettere su molteplici esperienze del passato e trarne utili insegnamenti.
Possiamo interrogare il meglio della conoscenza e capire che il nostro destino non è segnato dall’impotenza.
Possiamo guardarci attorno e scoprire che altri si pongono le nostre stesse domande e cercano le stesse risposte.
Non siamo condannati all’insulto e all’invettiva, ma possiamo ascoltarci e ragionare con metodo e confrontandosi sui fatti.
Anche noi, nella nostra piccola Varese, con l’aiuto di amici e compagni di viaggio, possiamo attrezzare e mettere in moto la nostra piccola carovana.
Il “festival dell’utopia” sta per cominciare, preparate il bagaglio.
Fulvio Fagiani
Presidente Universauser